Cass.pen., sez. VI
sentenza n. 32404 ud. 16 luglio 2010 – deposito del 30 agosto 2010
La Corte ha affermato che le molestie caratterizzanti la condotta tipica del delitto di atti persecutori possono essere integrate attraverso il reiterato invio alla persona offesa di sms e di messaggi di posta elettronica o postati sui c.d. “social network” (ad esempio “facebook”), nonché con la divulgazione attraverso questi ultimi di filmati ritraenti rapporti sessuali avuti con la medesima.
FATTO E DIRITTO
Con l’ordinanza sopra indicata, il Tribunale di Potenza ha parzialmente accolto l’istanza di riesame formulata da **** avverso il provvedimento del g.i.p. del Tribunale di Lagonegro in data 16 febbraio 2010, sostituendo la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.
All’indagato è stato contestato il reato di cui all’art. 612 bis1 (“Atti persecutori”) nei confronti di *** (con la quale aveva avuto una relazione sentimentale che la donna aveva voluto interrompere), e di calunnia nei confronti della stessa e di *** nuovo fidanzato della ***.
Avverso tale decisione propone ricorso l’indagato che deduce, con un primo motivo, “violazione di diritto”, perché non sarebbero sussistiti i gravi indizi, e i descritti comportamenti non avrebbero potuto integrare il reato contestato. Quanto alla calunnia, non erano stati sentiti due testi da lui indicati. Assume poi, con altro motivo, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Le investigazioni erano basate sulle sole parole della ****, prive di riscontri, e sulle dichiarazioni di suoi familiari. Non era stato interrogato il teste a discarico *** indicato dall’esponente. Le argomentazioni del Collegio non erano condivisibili, in quanto non era vero che il quadro indiziario era univoco: infatti nel 2009 era la stessa persona offesa a chiedere e ottenere “un contatto con il presunto stalker”. Sostiene che le espressioni usate nella ordinanza sulla sua personalità, di connotazione particolarmente negativa (come “incapace di controllare i propri istinti”; “carattere allarmante”; “spregiudicato”; “con elevata propensione a delinquere”), nonché quelle utilizzate per evidenziare i pericula libertatis (quali “pericolo di recidiva”; “stillicidio persecutorio”) non erano in linea con la misura (come sostituita) ma semmai con la custodia cautelare in carcere (si trattava probabilmente di un errore del Tribunale che aveva utilizzato espressioni riferibili a tale ***.
Il ricorso è inammissibile per contenere censure di merito, oltretutto genericamente esposte, sulla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, avverso un’ordinanza assistita da motivazione congrua e immune da censure di ordine logico.
Il Tribunale ha, infatti, ritenuto la sussistenza dei gravi indizi relativamente alla condotta del reato previsto dall’art. 612 bis. Ha correttamente osservato, in proposito, che i comportamenti persecutori erano iniziati proprio dopo la fine della relazione tra il ricorrente e la *** (luglio 2006), fine che il *** non aveva voluto accettare e che avrebbe voluto riallacciare. Le investigazioni hanno dato conto di continui episodi di molestie, concretatisi in telefonate, invii di sms e di messaggi di posta elettronica, nonché di messaggi tramite internet (facebook), anche nell’ufficio dove la *** prestava il suo lavoro. Sono state poste a base del provvedimento anche le dichiarazioni della *** (motivatamente ritenuta attendibile anche per i riscontri documentali delle sue dichiarazioni), che aveva presentato varie denunce, nonché le sommarie informazioni di diverse persone informate sui fatti. La condotta persecutoria e ossessionante dell’indagato, sempre più pressante, era anche caratterizzata dall’avere trasmesso il *** tramite facebook, un filmato che ritraeva un rapporto sessuale tra lui e la donna, nonché dall’avere avvicinato la *** che si trovava con un collega di lavoro, con atteggiamento aggressivo, manifestando l’intenzione di picchiare l’uomo. Il *** aveva anche inviato presso l’ufficio della denunciante cinque buste contenenti compact disc con immagini intime che la riguardavano. Ciò provocava nella donna un grave stato di ansia e di vergogna che la costringeva a dimettersi. Ancora: il giorno 8 ottobre 2009 l’indagato aveva indirizzato al *** nuovo compagno della *** una lettera fortemente ingiuriosa e minacciosa alla quale aveva allegato fotografie che riproducevano un rapporto sessuale che il *** aveva avuto con la vittima. Tutti tali comportamenti, minacciosi e molesti, concretavano, ad avviso del Tribunale, il reato contestato anche sotto il profilo del requisito della genesi di uno stato d’animo di profondo disagio e paura nella vittima in conseguenza delle vessazioni patite. Va sottolineato che il ricorrente non ha contestato specificamente uno solo dei comportamenti di vessazione individuati nella ordinanza.
Ha ritenuto il Tribunale la piena sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, con motivazione adeguata, anche in ordine al reato di calunnia in relazione alla denuncia presentata dal *** nei confronti della *** e del *** nella quale il ricorrente affermava di avere subito una estorsione da parte di quest’ultimo che gli aveva chiesto la somma di 1.700 euro per il ritiro di una denuncia che il *** non aveva poi ritirato nonostante gli avesse consegnato la somma richiesta. Tale comportamento era ritenuto certamente calunnioso in quanto la consegna del denaro era stata smentita proprio dal teste indicato dal *** ***.
Ha esattamente evidenziato, infine, il Tribunale che i mancati accertamenti istruttori dedotti dal ricorrente non erano idonei ad elidere il grave quadro indiziario.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in relazione alle questioni dedotte, si ritiene equo determinare in euro 1.000 (mille).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma addì 16 luglio 2010
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nota 1:
Articolo 612-bis – Atti persecutori
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
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commento personale
La sentenza riguarda un caso di cyberstalking (condotta persecutoria effettuata dallo stalker usando la rete internet e i servizi ad essa connessi) in quanto la condotta molesta è consistita anche nell’invio di messaggi e nella trasmissione di filmati su Facebook.
A quando una disciplina specifica sul fenomeno degli atti persecutori perpetrati attraverso internet?